to be me

Cambiare è un po’ ricominciare.

Febbraio 21, 2014

Cambiare è un po’ ricominciare. Almeno nell’accezione che ho sempre dato a questo verbo, se applicato alla mia vita.

Cambiare taglio di capelli ha sempre voluto dire tagliarli corti, pentirsene e ricominciare a coltivarli con pazienza, finchè non fossero tornati come prima. Lunghi, con la frangia.

Cambiare il guardaroba è una cosa che non ho mai potuto permettermi economicamente, ma quante volte mi è capitato di avere una gran voglia di buttare via tutto per reinventarmi completamente, almeno nell’involucro? E allora di solito ricomincio dalle basi, dalle scarpe.
E cambiando le fondamenta, anche tutto il resto cambia faccia, avete notato?

Cambiare lingua significa ripartire dall’inizio, completamente. E’ come imparare tutto per la prima volta ed in effetti è proprio quel che ti ritrovi a fare, perché, quando perdi la facoltà di esprimerti, perdi chi sei: perdi posizione sociale, livello culturale e in qualche misura anche dignità. Bisogna avere fegato per buttarcisi, o bisogna essere molto disperati, ma è un bagno salvifico, sotto molti punti di vista.
All’inizio sei come un bambino che non sa esprimersi se non a gesti ed esattamente come un bambino, non vieni interpellato, non si prende in considerazione la tua opinione, anzi, per la verità non te la si chiede nemmeno, perché si dà per scontato che tu stia capendo poco o niente di quel che ti succede intorno.

Se sai cogliere questa tabula rasa come un’opportunità, puoi veramente uscirne diverso: chiuso in un mutismo obbligato, nelle tue parole stentate – o peggio buffe -, ti trovi costretto ad un confronto costante e solitario con il te stesso chiuso in quel guscio implume. L’opportunità è rappresentata dal fatto che da quel guscio puoi decidere di uscire diverso, una volta che maneggerai le parole, che le avrai fatte tue e che potranno veicolare la tua persona fuori di te, mostrandoti finalmente agli altri.

Ci vuole coraggio o forse vigliaccheria.
Che poi non sono le due facce di una stessa medaglia? Il coraggio di non avere paura di ricominciare, la vigliaccheria di rifarsi nuovo in un altra lingua, piuttosto che aggiustarsi nella lingua originale.

Io sono il tipo che passa per il mutismo assoluto. Io se non sono certa di parlare bene, non parlo per niente. Non sopporterei il ludibrio. Non sopporterei di essere buffa.
Preferisco essere muta, essere un mistero.
Preferisco soprattutto essere una sorpresa, quando finalmente apro bocca, perché finalmente parlo e lo faccio bene.

L’ho fatto due volte: la prima avevo 16 anni e scappavo da una scuola piccola in cui non avrei neanche dovuto iscrivermi, da un ambiente asfissiante, da una totale mancanza di orizzonti e prospettive che andassero al di là della punta del campanile. Allora sono andata in America, in una High School di quelle che vedevo nei film, con le file di armadietti e le ragazze pon pon.

La seconda volta invece sono andata a Lisbona, sulla punta estrema d’Europa, spinta da un libro e da una speranza, ripagata, di di oceano e di vento.
E poi cieli azzurri e sterminati; ma quelli, in tutta onestà, li ho scoperti là.

Entrambe le lingue hanno preso casa nel mio cervello, in posti che ogni tanto devo spolverare per ricordarmi che esistono, ma non mi abbandonano, così come tutte le esperienze che ho vissuto in quelle lingue lì.

Perché quando il cambiamento perde la sua carica di novità, quella che ti travolge ad ogni passo, si trasforma in quotidianità; ti entra dentro e ti rendi conto che non è stato che uno snodo della stessa storia: la tua.

Ci sono giorni in cui guardandomi intorno non vedo speranza, non vedo prospettive: vedo anzi porte che si chiudono, vicoli ciechi, spirali vorticanti che portano sempre più giù.
E vorrei cambiare.
E vorrei scappare.
Però ora non è come una volta, che mi bastava deciderlo ed andare. Ora ho radici assai più forti.

Ora il cambiamento lo vorrei qui, a casa mia. In Italiano.

Incappiamo continuamente in incroci in cui basterebbe prendere una via diversa; quello che non riesco a capire è perché, con ostinata costanza, scegliamo sempre di tornare indietro e di riscrivere lo stesso capitolo. Over and over again.

Questo post partecipa al blogstorming.

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  • Mamma avvocato Febbraio 22, 2014 at 12:49 pm

    Quanta profondità nelle riflessioni di questo post.
    Lo vorrei anche io qui, a casa nostra, in italiano.
    Solo che quando non puoi neanche più votare o se voti ignorano i risultati, come fai a cambiare?
    Verissimo ciò che dici sulle lingue. Io non sono mai stata abbastanza disperata o coraggiosa, salvo questa estate che ho dovuto arrangiarmi con il nano in Portogallo e ancora non so come ho fatto. Tu hai avuto molto coraggio, soprattutto a 16 anni, secondo me!

    • Silvia A. Febbraio 24, 2014 at 12:31 pm

      Certi giorni questa mancanza di prospettive mi deprime proprio! Come si fa? Si spera, si va avanti….
      come si fa?
      Un bacio
      PS Sono stata incosciente, probabilmente, a 16 anni. Ma non me ne sono pentita!

  • Ansia da prestazione | meduepuntozero Giugno 4, 2014 at 9:48 am

    […] ricordo lo spettacolo di fine anno alla Etowah: abbiamo preparato Dracula, di Bram Stoker, e io ero una delle tre vampiresse mute, che finiva […]